Bassorilievo sulla Stele: Hammurabi riceve le leggi dal dio del Sole |
Nel 1902 a Susa (Iran) l'importantissimo ritrovamento: dopo secoli e secoli, sepolta dalla sabbia e dal tempo, tornava alla luce la Stele di Hammurabi.
Un blocco di basalto nero alto più di due metri, inciso da una miriade di caratteri cuneiformi disposti su 49 colonne e ben 3.600 righe, raccoglie 282 leggi: le più antiche mai messe per iscritto. Sono le norme che reggevano una civiltà fiorente ed evoluta, Babilonia. Quando vennero incise, Hammurabi regnava da più di un decennio su un vasto territorio, che si estendeva dal Golfo Persico fin quasi le coste del Mar Mediterraneo, attraverso tutta la Mesopotamia: correva l'anno 1780 a.C.
Sulla sommità della Stele siede sul trono Shamash, dio del Sole e della giustizia. Porge ad un uomo i segni del potere, il bastone e l'anello: esile al suo cospetto, il re Hammurabi solleva una mano in segno di saluto, e si appresta a ricevere le leggi del suo popolo. Al di sotto, caratteri cuneiformi incisi sul basalto ci tramandano attraverso i millenni gesta ed onorificenze del re babilonese (narrate in prima persona), nonchè il diritto su cui poggiavano le genti della Mesopotamia.
Per molto tempo storici e critici sono stati d'accordo nel ritenere che quella della Stele fosse una raccolta di leggi in senso proprio, ossia una collezione di norme generali ed astratte all'interno di una forma sia pure primitiva di codificazione. Gli studiosi, oggi, hanno qualche dubbio al riguardo.
In epoca così remota, per i babilonesi come per gli altri popoli, il diritto era tramandato oralmente di generazione in generazione: insieme alla religione ed alle consuetudini formava l'identità culturale di una popolazione. Pertanto quella di Hammurabi più che un'opera di codificazione (intesa come raccolta della totalità delle leggi vigenti), fu sicuramente un intelligente atto di propaganda politica e di celebrazione dei suoi grandi successi, non solo militari. Difficilmente infatti le norme incise sulla Stele potevano essere applicate in via generale: sono più che altro delle soluzioni casistiche, elaborate in circostanze concrete. Come risulta da documenti della stessa età, sono sentenze dello stesso re, raccolte tutte insieme, come esempio di "buon governo" per i suoi successori. Un diritto a base casistica dunque: tipico delle popolazioni antiche, esattamente come fu anche per Roma. A differenza però dei codici primitivi, fra cui le XII Tavole (incise nel 451 - 450 a.C., oltre 1300 anni dopo la Stele!), quello di Hammurabi non è un codice processuale. Non contiene cioè norme sullo svolgimento del processo, ma solo norme civili e penali. Altro elemento caratteristico è l'assenza assoluta di precetti di diretta derivazione divina - religiosa. Poi sicuramente l'aspetto maggiormente noto a tutti, ossia l'ampio ricorso alla legge del taglione.
Le 282 leggi fanno luce sul mondo di una civiltà splendente, forte, sicuramente evoluta rispetto agli standard dell'epoca. Parliamo di quasi 4.000 anni fa, eppure la tecnica giuridica con cui quelle norme sono redatte è sicuramente affinata. La struttura è sempre la stessa: ciascun articolo si apre con la protasi (il fatto) e si chiude con l'apodosi (la sanzione).
Un esempio:
218.: "Se un medico cura alcuno di una grave ferita colla lancetta di bronzo [bisturi] e lo uccide, o gli apre una piaga colla lancetta di bronzo e l'occhio è perduto, gli si dovranno mozzare le mani."
Un articolo sulla responsabilità del medico, peraltro argomento ancora di stretta attualità.
Il pensiero legislativo è espresso con rigore e si ripete costante: proposizione ipotetica, proposizione imperativa.
Delitto e castigo.
Ancora:
1.: "Se un uomo accusa un altro uomo di omicidio senza fornirne le prove, l'accusatore sarà condannato a morte."
Come accade anche oggi, per poter ottenere una sentenza di condanna dell'imputato occorre portare dinanzi al giudice le prove necessarie. Lo Stato si preoccupa di punire direttamente il colpevole per evitare vendette private, ma è certo che qui la sanzione sia particolarmente dura: alla faccia dell'onere della prova!
Grande valore storico - culturale, reperto importante per aprire una finestra su un'epoca remota ed affascinante, ma non solo. La Stele di Hammurabi può anche essere foriera di riflessioni utili per il presente. Mi riferisco all'articolo numero 5, riguardante le prevaricazioni di un giudice. Quello della responsabilità civile del magistrato è un annoso problema che affligge il nostro ordinamento: l'attuale disciplina risalente al 1988 è sempre stata criticata, tanto che attualmente si sta discutendo in Parlamento perchè venga riformata. E'una disciplina compromissoria, sicuramente troppo attenta a bilanciare le esigenze contrapposte della preservazione della tranquillità del giudice e dell'assoggettamento dei magistrati ad un certo grado di responsabilità per le azioni che compiono nel loro operato: nei tre casi in cui il giudice agisca con dolo, colpa grave, ovvero qualora la sua attività comporti un prolungato diniego di giustizia, il cittadino avrà diritto all'azione risarcitoria aquiliana. Ma non nei confronti del giudice, bensì dello Stato, che in una prima fase dovrà risarcire direttamente il danneggiato, naturalmente in caso di condanna. In una successiva ed eventuale seconda fase lo Stato potrà rivalersi nei confronti del giudice, ma non per l'intero, bensì solamente per una cifra non superiore ad un terzo dello stipendio annuale netto dello stesso (salvo il caso del dolo, in cui non vi sono limiti al regresso). Non un eccellente dissuasivo, tanto che si parla di pena pecuniaria piuttosto che di responsabilità civile del magistrato. Ma cosa c'entra con tutto questo il diritto babilonese?
C'entra eccome, in quanto Hammurabi 4.000 anni fa poteva vantare un deterrente sicuramente migliore di quello di cui disponiamo oggi:
5.: "Se un giudice conduce un processo ed emette una decisione e redige per iscritto la sentenza, se più tardi il suo processo si dimostra errato e quel giudice nel processo che egli ha condotto è convinto di essere ragione dell'errore, egli allora dovrà pagare dodici volte la pena che in quel processo era stabilita, e si dovrà pubblicamente cacciarlo dal suo seggio di giudice, nè dovrà egli tornarvi per sedere di nuovo come giudice in un processo."
Il diritto della Stele, quindi, ci offre alcuni spunti su cui concentrarsi per una riforma coerente ed efficace sulla responsabilità civile del magistrato. Innanzi tutto, la rimozione dall'incarico per un giudice incompetente o corrotto. In secondo luogo un processo diretto, in quanto oggi come oggi il cittadino non può citare direttamente il giudice, ma muovere causa solamente allo Stato. Terzo, la condanna: commisurata non alla retribuzione, bensì alla pena inflitta (e quindi al danno cagionato) nel processo viziato.
Interessante l'ultima parte sui giudici, sicuramente Hamurrabi aveva le idee molto chiare a tal proposito, sono pronto a scommettere che a quel tempo un giudice ci pensava Molto bene prima di condannare chicchessia ^^
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